Il giorno che è nato Pablo

Il giorno che è nato Pablo io stavo facendo colazione con il mio yogurt greco a casa, a Brooklyn. Era un sabato mattina di Aprile, la primavera timida faceva capolino ed io ho visto le sue prime foto via email neanche un’ora dopo il parto. Mi sono emozionato, ho chiamato suo padre in Andalusia, ci siamo commossi insieme. Uno di quei momenti gustosi della vita, che sanno di vecchi tempi e di futuro non scritto al contempo. Questo senso di gioia mi ha caricato ed il primo sole caldo dalla finestra ammiccava. Ho inforcato Blanche, messo un paio di grossi tocchi di cioccolato fondente in tasca ed ho iniziato a pedalare nel mattino morbido e leggermente ventoso. Avevo voglia di vedere il mare, di lasciarmi riempire gli occhi di quella luce forte che l’oceano Atlanico sa riflettere con vigore in certe giornate limpide. Mi aspettavano molte miglia di Brooklyn, quella più profonda ed alienante un po’ spoglia come sa essere solo il sabato mattina, ho affondato le gambe ormai sode come marmo sui pedali con potenti falcate, attraversato interi quartieri haitiani ed ebrei, sono stato fermo dietro ad un furgoncino targato North Carolina che ha scaricato un intero coro Gospel davanti ad una chiesa luterana, ho costeggiato decine di isolati residenziali e buttato lo sguardo nei cortili delle famiglie americane in questo weekend di primavera, con i padri in canottiera che lavano macchine enormi e ragazzini che giocano a basket e madri che riempiono frigoriferi giganti. Un insolito piccoletto ebreo mi ha colpito perché aveva la kippah in testa e la maglia del Milan sulle braghe nere. Sono sfrecciato in mezzo a tutto questo e mi sono sentito Dio quando il vento mi ha soffiato in viso sul ponte che unisce Rockaway al resto di Long Island, la baia scintillante era sotto di me, miglia lontane a nord ovest si vedevano le guglie dei grattacieli della città, sembravano lego. Non ero più stato sulla costa da prima di Sandy, avevo una vaga idea del disastro provocato dall’uragano, erano passati molti mesi ma ancora decine di caschi gialli e mezzi pesanti e cantieri erano parte integrante della situazione, io sono andato oltre, ho superato un paio di transenne e ci siamo trovati, Blanche ed io, sulla platea di cemento erosa dal mare e battuta dai gabbiani nella più assoluta, surreale, piacevole, solitudine con un sole acerbo che mi abbronzava il viso impavido. Per me il cemento sul mare é un elemento primordiale. Quell’impasto di pietra, mano dell’uomo e sale che il mare forgia è stato, con gli scogli, il mio primo campo esplorativo della vita, in un tempo in cui il mio orizzonte era il Mar Tirreno. Poi ho goduto del cioccolato e ripreso la corsa, avevo una meta in testa, ho proseguito lungo la spiaggia e sono stato fermato da un uomo, in bici anche lui, convinto di avermi conosciuto negli immensi spazi della Grande Mela -parole sue-, mi è dispiaciuto contraddirlo, ma si è consolato con il fatto che fossi italiano, congedandosi con un saluto incerto nel mio idioma. Il boardwalk, la passeggiata in legno rialzata sulla spiaggia che di solito corre per miglia e miglia senza interruzioni, è stata distrutta in molti punti dalla furia di Sandy ed ho dovuto alternare le mie corse al lato dell’Oceano ad incursioni nell’abitato, dove ancora si scorgevano gruppi di persone in fila per il cibo e gli aiuti, con i visi segnati, ma con una luce di rinascita e dignità, tutta americana. Una ragazza pattinava solitaria su una pista azzurra tra le dune di sabbia ed i palazzi decadenti. Io ho pedalato ancora, in alcuni punti mi caricavo Blanche in spalla e proseguivo a piedi sulla sabbia, ho percorso un altro ponte e sono arrivato a Long Beach, altre miglia, altra America sotto le ruote, altri volti negli occhi, come quello paffuto e dolce della cameriera hondureńa che mi ha servito arroz y pollo guisado. Come quello di un Don Chisciotte con la muta da surfista ed una lunga barba bianca che si è lanciato tra le onde fendendo i flutti con la tavola a mo’ di lancia. L’ho osservato a lungo nella sua battaglia con le onde a vento, come fossero spumose pale di mulino. Sulla spiaggia il sole rosso del pomeriggio iniziava a calare, ho girato il muso a Blanche, novella Ronzinante, ed abbiamo galoppato verso quelle guglie lontane che parevano ancora mattoncini colorati.

L'Autore

L'Autore

Carmine Savarese é nato nel 1977, in un inverno di piombo con il sole che splendeva su Napoli. E' stato un cowboy nella Toscana degli anni '80. E' uscito indenne dagli anni '90 ed ha viaggiato in circa 50 paesi, poi nel 2008 ha scelto New York, dove ha vissuto nel cuore di Brooklyn per un vita. Brooklyn è il lato migliore della mela e di noi stessi. Carmine e' un creative director, ha fondato Creativa, Tiplr, e molti progetti che stanno a mezza via tra il design ed i viaggi. Carmine va in bicicletta.