Gli alberi ormai hanno perso tutte le foglie, anche i più ostinati. L’aria è diventata fredda che un po’ punge, a me, però, piace e godo di quel primo brivido d’inverno mentre tiro fuori la bici nel mattino frizzante. Come in un letargo alla rovescia, le brownstones riemergono nelle vie di Bed-Stuy con la facciata rosso scuro e le finestre che sembrano occhi ammiccanti. Vi pedalo in mezzo cercando i semafori verdi ed il ritmo del mio respiro che si manifesta in nuvolette di condensa. Dopo il primo miglio ho le guance colorate e le gambe sciolte, isolato dopo isolato, nel mio percorso pendolare quotidiano, scorgo mondi ogni volta uguali ed ogni giorno diversi. Al cancello d’ingresso di una ferramenta gigante ci sono gruppetti di operai messicani, che aspettano l’ingaggio per la giornata e sperano che qualche furgone carico di materiale si fermi e ne prenda su uno o due per 10 dollari l’ora in qualche cantiere. Ci sono alcune vie più strette verso il fiume dove spesso sono costretto a farmi qualche decina di metri sul marciapiede perché la strada viene bloccata da decine di bambini con le treccine davanti le orecchie, la kippah e le braghe corte che si tengono per mano e salgono sugli scuolabus gialli con grandi scritte yiddish sui lati ed un burbero signore ebreo, dalla barba lunga e bianchissima, alla guida. Le donne di colore sono avvolte in cappotti lucidi fucsia e fumano davanti alle case popolari, chiacchierano tra loro e sembra che vogliano scaldarsi al tiepido sole di fine novembre. Il poliziotto buono è sceso a prendere il caffè nero bollente al negozio all’angolo, quello cattivo è in macchina che aspetta e mi guarda in modo truce con un gomito sul finestrino ed il distintivo sul cruscotto. Io osservo la scena con la coda dell’occhio, poi al verde scatto con la Bianchi modello Milano e scompaio nel traffico di Brooklyn che neanche al Vigorelli.