Attraversare cinquemila chilometri e cinque fusi di pura Russia lungo il binario transiberiano, in un lasso di tempo relativamente breve, può sembrare una capricciosa goccia nel mare dei grandi viaggi globali di oggi. Oppure, un modo per aprire uno scorcio introduttivo ed appena penetrante in un mondo ancora incognito alla gran parte di noi, nati dal lato patinato della cortina in piena guerra fredda e non ancora maggiorenni quando il gelo si sciolse rivelando tutta la precarietà, le incongruenze e gli strascichi di fallimento della più maestosa rivoluzione totalitaria del novecento. Sono trascorsi ventidue anni, noi, nel frattempo, ci siamo fatti uomini ed abbiamo incrociato, all’inizio sporadicamente, poi sempre più, questa gente dell’est dagli occhi chiari e tristi ai semafori delle nostre città e nelle case dei nostri nonni. A me quegli occhi liquidi hanno sempre incuriosito, fosse anche solo per quella voglia d’ignoto e scoperta che mi brucia dentro e finalmente sono venuto alla sorgente di quello sguardo.Sguardo che ritrovo subito in decine di volti sul volo notturno da Kòs a Mosca, sono i turisti della nuova classe media russa che hanno trascorso una settimana al mare in Grecia, una roba che i loro padri neanche si sarebbe potuta sognare. Noi, quasi intrusi su quel volo al punto che il doganiere ci dice che siamo i primi non russi a volare su quella tratta da almeno due anni, osserviamo il nostro immergerci tra questi volti ancora algidi nonostante il velo di colore del sole greco.È il volto di Viktor ad accoglierci allo scalo di Domodedovo in un’alba fresca di luglio, che a primo impatto potremmo essere a Berlino, a Philadelphia o a Madrid, ma queste sono le porte della nuova Russia. Viktor è un omone alto di un’altra epoca con un bel paio di baffi a velare un sorriso dolce ed il passo claudicante. Viktor è l’autista storico di un amico che ci ha riservato una calda accoglienza e questo passaggio verso il nostro alloggio moscovita, lungo la strada m’impegno a familiarizzare con i testi cirillici dei cartelloni pubblicitari, scoprendo che con un po’ di pratica crolla quell’atavico velo ostico nei confronti di questa lingua, che una volta decodificata presenta tantissime connessioni con i nostri idiomi occidentali.Arriviamo dalle parti della metro Dostojeskaya che ancora non sono le sette, il nostro alloggio è in un palazzone sovietico che ha tutta l’aria di essere rimasto sospeso, con tutti i suoi inquilini, in un punto indefinito tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso. La portiera kazaka, dal suo cubicolo, con un fazzoletto a fiori sulla testa ci saluta e potrebbe essere quella di un palazzo napoletano se non fosse per il taglio asiatico degli occhi. Il nostro alloggio é lo specchio del nostro ospite, Andrej; preciso, essenziale e moderno. Andrej é un giovane russo originario di Perm, una cittá della Russia meridionale sul versante europeo degli Urali, come molti qua ha scelto Mosca per studiare e lavorare, un po’ come facciamo noi con Milano, Londra e New York. Andrej ci ha aperto le porte di Mosca e la sua casa è stata una base formidabile per i quattro giorni spesi nella capitale in attesa che il nostro treno sarebbe partito dalla stazione Yaroslavzky diretto in Siberia.Mosca è vibrante a tratti e sicuramente vibrante per strati sociali. La città, nonostante una certa ottusa insistenza sovietica che ha tentato di deturparla è molto bella, sontuosa, elegante. Larghi viali che hanno visto passare il trionfo di zar, dittatori ed oligarchi, la Moscova con i suoi battelli che si stende opulenta e sinuosa fino ad affiancare il Gorky Park, fitto, grazioso, cuore verde e gioia di ogni moscovar che segue il fiume sui pattini. San Basilio è una gioia, con le sue coloratissime cupole a cipolla dalle geometrie nette e fuori dal tempo.Ma gran parte del proprio fascino, Mosca lo deve alle sue donne. Sono bellissime, in modo sconcertante. Sono altissime e le incontri con nonchalance a far la spesa su tacchi vertiginosi nei mercati che offrono frutta e verdura provenienti dall’Asia. Hanno occhi chiari e fieri e senza timidezza ricambiano lo sguardo di uno straniero. Le donne di Mosca che siedono sulle panchine con gambe accavallate e senza malizia, le donne di Mosca che elegantissime attendono un’amica sulla scalinata del Bolshoi per assistere all’Opera, le donne di Mosca che si coprono il capo con un fazzoletto prima di entrare composte in Chiesa. Le vedi attraversare sicure i controlli per accedere alla piazza Rossa ed ancora verso i magazzini Gum con lunghe falcate.Una sera, il nostro amico Maksim è venuto a prenderci con Viktor proprio di fronte al Teatro dell’Armata Rossa, una struttura megalomane con la pianta a forma di stella dentro alla quale sfilavano colonne di carri armati sovietici, l’opera è rimasta incompleta in quanto la base a forma di stella sarebbe dovuta essere solo il piedistallo che avrebbe sorretto una mastodontica statua di Stalin alta decine di metri a mo’ di Godzilla socialista. L’evolversi delle vicende e dei tempi ha fatto si che il monumento non vedesse la luce. Partendo dal teatro abbiamo fatto un’esaustivo giro di Mosca con intermezzo in un meraviglioso ristorante uzbeko -laddove le influenze turco-mediterranee incontrano i sapori dell’Oriente lungo la via della seta e di Samarcanda- per proseguire attraverso i punti chiave della cittá e culminare in una piacevole passeggiata notturna -anche se la luce boreale ci ha rischiarato fino oltre le undici della sera- allo stagno dei Patriarchi, per sedersi su quelle stesse panchine, come i personaggi onirici di Bulgakov e del suo Maestroe Margherita.Poi ancora tanta Mosca in quello stupendo, elegantissimo, popolarissimo congegno che è la metropolitana, con le stazioni che paiono salotti adorne di lampadari scintillanti e con treni puntualissimi ogni trenta secondi e falci e martello che spuntano tra i mosaici dorati a ricordare chi ha fatto cosa. Tanta Mosca nei vicoli dietro la Piazza Rossa con le vedove che chiedono pochi spiccioli ed i religiosi a sgranar rosari ed i popoli delle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale a svolgere i lavori che i russi non vogliono fare più. Tanta Mosca in chi ha meno di venticinque anni e non sa che, altro che boulangerie francesi e ristoranti italiani, qui si faceva la fila per un pezzo di pane, appena ieri. Ma a chi importa più ormai. Sui viali di Mosca le Ziguli e le vecchie Lada un po’ resistono, ma in gran parte hanno lasciato il posto a grosse auto tedesche e giapponesi e quei venticinquenni sognano di andare ad estrarre petrolio in Siberia o sfondare con una start-up sul web. A me ed a Ollie, intanto, Mosca è entrata dentro con i suoi volti e le sue storie, ma il nostro treno #solandata ci chiama e siamo pronti ad attraversare via terra il più grande paese di questo benedetto pianeta.