Gaspare oggi indossa una camicia rossa ad evidenziare una pancia importante e l’aria delle feste. Dall’apparecchio radio accanto ad un carretto siciliano in porcellana Frank Sinatra canta My Way ed ammorbidisce l’atmosfera del Barber Shop. Fuori in strada i primi, timidi, fiocchi di neve si posano sulle spalle dei passanti. Io siedo sul divano in attesa del mio turno ed osservo Gaspare rifinire col rasoio la linea sulla nuca di un giovane cliente coreano. Entrando, poco prima, ho notato due grossi fori tondi nella vetrata del negozio rappezzati con del nastro adesivo, mi sono fatto delle domande, poi la mia attenzione è caduta su di un carrello in un angolo, con pastarelle, vino e liquori in bella mostra. Gaspare ha pulito il rasoio e mi ha fatto -favorisci, sono buone, vengono da New York- intendendo con New York, alla maniera degli italiani di Brooklyn, Manhattan che sta a due fermate di metro dall’altro lato del fiume. Io, però, ho sempre pensato che loro intendano uno stato della mente, un po’ come quando da noi nel vecchio mondo si diceva l’America! Il barbiere spazza via i capelli, il coreano ammira allo specchio il nuovo taglio mentre s’infila la giacca, paga ed esce, Sinatra ha lasciato spazio ad un brano jazz ed io prendo posto sulla sedia. Gaspare a Natale compie sessantacinque anni ed ha questa bottega da quarantacinque, mentre mi accomoda dolcemente l’asciugamano intorno al collo gli faccio – Gaspare, ma che è successo alla vetrata?-, lui sorride amaro, prende le forbici dal banco e dice -Pietre, hanno lanciato due pietre. You know-.